The Dream of Rome
2011-2013: Capolavori eterni negli Stati Uniti
Il Busto di Medusa di Gian Lorenzo Bernini
Nelle Metamorfosi, Ovidio narra che Medusa, la più bella e mortale delle Gorgoni, aveva il potere di pietrificare chiunque osasse incrociare il suo sguardo. Sorpresala nel sonno, Perseo riuscì a troncarle la testa guardando l’immagine riflessa nello scudo di bronzo donatogli da Minerva.
L’eroe, dopo aver liberato Andromeda e sconfitto Fineo grazie all'intatto potere pietrificante della testa di Medusa, ne fece dono a Minerva che la pose ad ornamento della sua egida, e poi del suo scudo, come terribile arma per sconfiggere i nemici della ragione e sapienza, virtù da lei incarnate. Di qui l’uso antichissimo, ripreso nel Rinascimento, di ornare gli scudi da battaglia e da parata con la Testa di Medusa come arma per terrorizzare i nemici, ma anche simbolo della virtù e saggezza di chi impugna lo scudo. Scartando la raffigurazione della testa troncata di Medusa proposta dalla scultura classica, rinascimentale e manierista e magistralmente ripresa nell'ultimo decennio del Cinquecento a Roma da Caravaggio, nello scudo da parata dipinto per il cardinale Del Monte, poi donato al Granduca Ferdinando de' Medici e da Annibale Carracci, negli affreschi dipinti tra il 1598 e il 1601 nella Galleria del Palazzo Farnese, Gian Lorenzo Bernini scolpisce un vero e proprio busto-ritratto di Medusa, vivente, fermata nel momento transitorio della sua metamorfosi.
Il mito, narrato da Ovidio, che racconta dei bellissimi capelli biondi di Medusa trasformati da Minerva in orride serpi come punizione per aver consumato un amplesso con Nettuno nel tempio delle divinità femminili di Fede e Verità, è rivisitato in modo assolutamente originale alla luce di alcuni versi poetici di Giovan Battista Marino.
In un noto madrigale tratto da La Galeria (1620), il poeta finge che sia una mirabile statua di Medusa a parlare: “(…) Non so se mi scolpì scarpel mortale, / o specchiando me stessa in chiaro vetro / la propria vista mia mi fece tale”. Il mito classico è rovesciato per esaltare la virtù dell'ignoto scultore: non è la Gorgone ad impietrire con lo sguardo i suoi nemici, ma è Medusa stessa che, cogliendo per fatale errore la sua immagine in uno specchio, sembra essersi trasformata in marmo.
Un’altra prova delle capacità di Bernini di cogliere nella scultura il climax di un'azione transitoria e la contraddittoria complessità di uno stato d'animo umano.
Ma il Busto di Medusa, nelle intenzioni dell'artista è anche una raffinata metafora barocca sul potere della scultura e sul valore dello scultore. Come Medusa “dimostra la vittoria, che ha la ragione degli inimici contrarij alle virtù” (Cesare Ripa, Iconologia, 1603, 426), la Medusa di Bernini lascia letteralmente “impietriti” dallo stupore i suoi nemici e detrattori con la sua arma più affilata: la virtù del suo scalpello.
Benché a tutt’oggi manchino prove documentali, l’opera è stata datata da Irving Lavin ai primi anni del pontificato di Innocenzo X Pamphilj, tra il 1644 e il 1648, quando l’artista fu allontanato dalla corte pontificia come creatura dei Barberini e la sua fama fu temporaneamente oscurata.
In un recente saggio, pubblicato nel 2007, Irving Lavin torna sull’argomento con inedite riflessioni e stabilisce un più stretto rapporto tra il Busto di Costanza Bonarelli, scolpito tra il 1636 e il 1638, e quello di Medusa, forse realizzato da Bernini come contrapposto morale del primo, entrambi comunque ideati come personalissima riflessione dell’artista ed entrambi successivamente donati o ceduti ad altri dall’autore. In base a questa nuova ipotesi di lettura dell’opera la datazione del Busto di Medusa potrebbe essere lievemente anticipata alla fine degli Anni Trenta del Seicento.
I MUSEI CAPITOLINI
I Musei Capitolini comprendono un complesso di edifici localizzati sul colle del Campidoglio, uno dei Sette Colli di Roma. Nell’antichità il colle era il cuore religioso e politico della città, luogo dove sorgevano molti templi, incluso il grandioso Tempio di Giove Capitolino che dominava il Foro.
Durante il Medioevo, gli edifici antichi subirono una progressiva decadenza. Sorsero dalle loro rovine le nuove strutture municipali: il Palazzo dei Senatori, che fu costruito in gran parte nel XIII e XIV secolo e che dava le spalle al Foro per guardare la Roma Papale e la Chiesa di San Pietro; e il Palazzo dei Conservatori (magistrati), costruito nel XV secolo alla destra del Palazzo dei Senatori.
Una donazione fatta nel 1471 segna l'inizio di una nuova funzione degli edifici sul Campidoglio e rappresenta un nuovo lascito che arricchisce il patrimonio artistico dell'antichità romana. In quell’anno, Papa Sisto IV trasferì al Campidoglio quattro famose sculture antiche in bronzo dal Palazzo di Laterano, la residenza papale principale dell’epoca. Nel 1537 Papa Paolo III commissionò a Michelangelo il trasferimento di un'altra scultura dal Laterano alla piazza di fronte al Palazzo dei Senatori: la monumentale statua equestre in bronzo dell’Imperatore Marco Aurelio che era scampata alla distruzione durante il Medioevo e che si era creduto successivamente rappresentasse Costantino, il primo imperatore cristiano. Michelangelo fu incaricato anche di ridisegnare l’area, conosciuta come Piazza del Campidoglio. Egli disegnò le nuove facciate dei Palazzi dei Senatori e dei Conservatori, completate dopo la sua morte nel 1564. Per bilanciare il Palazzo dei Conservatori, concepì un edificio abbinato, il Palazzo Nuovo, che fu finito nel 1667.
Insieme, questi edifici costituiscono i Musei Capitolini. La piazza fu completata solamente nel 1940 sotto Mussolini, ma si attiene grandemente al disegno originale che appare in un'incisione di XVI secolo.
Nel XVI secolo le collezioni dei Musei Capitolini aumentarono notevolmente attraverso l'acquisizione di opere appena scoperte e grazie ai lasciti di antichi capolavori come quelli donati da Papa Pio V con l'intenzione di “eliminare dal Vaticano gli idoli pagani”. Il Palazzo dei Conservatori divenne così pieno di sculture che per i dipendenti comunali fu difficile eseguire i propri compiti.
Nel tardo diciassettesimo secolo, molte delle opere furono trasferite nel Palazzo Nuovo recentemente ultimato, dove si trovano anche le acquisizioni del XVIII secolo più importanti, come il “Galata Morente” e la “Venere Capitolina” posizionata nell’esedra realizzata nel XIX secolo. Da allora i Musei Capitolini hanno continuato ad espandere la propria collezione, divenendo uno dei musei di antichità romane più importanti al mondo.